Una pagina d’ingegneria ticinese
Gli anni ’60 furono per così dire il decennio che fece “esplodere” l’automobilismo in Ticino: nascita di scuderie, giovani piloti a partecipare alle innumerevoli gare in Ticino e fuori. Un movimento che permise a Silvio Moser e Clay Regazzoni ad affacciarsi dapprima alla scena internazionale e in seguito accedere alla Formula 1. Ma non solo. Tra di loro ce ne furono alcuni che vollero trasformare la propria “passionaccia” mettendo le mani, no, non al volante, bensì alla meccanica, anche di più, arrivando a costruire una propria macchina da corsa.
Ivo Zarri (classe 1937) cresce a Bodio dove segue l’apprendistato di meccanico d’auto nelle officine della locale società idroelettrica (“Atel”) sotto l’occhio attendo di Ferdinando Nervi che vanta un passato di centauro. Ventenne, Zarri parte alla volta di Ginevra e approfondisce le sue cognizioni anche nella meccanica di precisione. Dopo sei anni – siamo nel 1964 – apre un’officina per conto proprio.
Dalle macchine dei clienti alla preparazione di quelle da corsa il passo è breve. Inizia a lavorare su una Lotus Elan passando a una Lotus 23 C Sport e più avanti su motori di Formula 2, delle Alfa Romeo e Ford Escort. Le macchine che prepara cominciano a vincere gare e la notorietà di Zarri oltrepassa i confini. Il viticoltore ginevrino Charles Ramu-Caccia si imporrà sulle macchine preparate dal leventinese per diversi anni.
Alla cronoscalata di Campionato Europeo di Sierre-Crans (Vallese) l’Alfa di Ramu-Caccia distacca di due secondi il trio ufficiale dell’Alfa Romeo. Su una Ford Escort al Sestrière (Torino) straccia tutti, al che si presenta un abbiente italiano che vuol acquistare la macchina sul posto per 50 mila franchi, ma la stessa rientrerà a Ginevra essendo proprietà dell’orologiaio Jean Piaget. Il fatto che un preparatore privato come Zarri metta in ginocchio squadre ufficiali lascia increduli molti esperti del settore. Tra sé e sé, però, il leventinese ha qualcos’altro che gli pesa sul cuore: la “sua” macchina da corsa. Un’operazione non esente anche da investimenti finanziari. Prosegue nella preparazione di motori da corsa che sono molto richiesti, quando prende come esempio una Lotus 24 di F3 pensando alla sua monoposto. Poco a poco, con la collaborazione del fratello Daniele, la macchina cresce finché un giorno è finita.
Lo chassis è un tubolare di acciaio cromo molibdeno. Zarri medesimo adotta diverse soluzioni telaistiche secondo le sue idee. Dal momento in cui è prevista per correre in salita e slalom, misura un passo relativamente breve di 225 centimetri, la larghezza è di 182 e la lunghezza totale di 318. Serbatoio di 20 litri sulla sinistra, leva del cambio ed estintore sulla destra dell’abitacolo. La carrozzeria concepita dalle Usines Nova è tutta di alluminio. Cerchi anteriori di 13 pollici, posteriori di 15.
Il motore che equipaggia la monoplace Zarri, come verrà chiamata, è un Ford GT40 con testate De Tomaso, 4700 cc, 8 cilindri a V che sviluppa circa 450 cavalli.
Grazie alla compattezza della costruzione pesa solamente 530 kg, un dato positivo per girare con maneggevolezza attorno a birilli e a tornantini.
Per il settimanale specializzato dei tempi, la Revue Automobile, Gilbert Jenny scriverà che “...dopo averla vista da vicino crediamo che dei record siano alla sua portata”. Ivo Zarri provvederà al rollout della macchina e l’affiderà all’albergatore ginevrino André Knoerr che segna il terzo miglior tempo di giornata al debutto sul Marchairuz (Vaud), migliorando in seguito il record del circuito di Lignières di un secondo portandolo a 49”2.
Ci siamo. Nelle stagioni 1970/71 Knoerr otterrà diversi successi sia all’estero che in campo nazionale, tra cui l’”assoluto” allo slalom di Lodrino dell’aprile 1971 quando vince su Roland Salomon e Jo Vonlanthen, entrambi su Tecno F3.
La macchina passa a Philippe Mottaz e in seguito a Bernard Pisteur che però la danneggia pesantemente in un incidente durante una cronoscalata sbattendo due volte contro la roccia; la deve ricostruire (la macchina, non la roccia...) quasi interamente e la rimette in pista nel 1976 col nome di Pisteur... Passata abbondantemente l’ottantina, Ivo Zarri, memoria di ferro, ricorda tutto: “Mi misi a ridere per questo plagio ma nulla più”. La Zarri monoplace finirà al museo internazionale dell’automobile di Ginevra (chiuso nel 2008) vicino all’aeroporto di Ginevra, ma tutt’oggi nessuno non sa più in qual retrobottega sia andata a finire. Peccato per quest’opera pionieristica, una piccola pagina di ingegneria ticinese che lontanamente prese avvio in Leventina.
Articolo a cura di Giorgio Keller