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Una parola dal Presidente

Rubrica politica pubblicata sulla rivista Touring

2024

Infrastrutture affidabili e adatte ai bisogni (Touring 4/2024)

Peter Goetschi, presidente centrale TCS, caldeggia la prossima tappa di sviluppo delle strade nazionali, contro la quale è stato indetto un referendum. L’ultima parola spetta ora al popolo, chiamato alle urne quest’autunno.

In questo momento a Berna si parla molto di sviluppo delle infrastrutture. Perché è così importante?
Peter Goetschi: Le infrastrutture sono essenziali per lo sviluppo della nostra società e della nostra economia. Se i nostri antenati non avessero investito in dighe, trasversali alpine o nella rete stradale nazionale, sicuramente la Svizzera non sarebbe diventata la nazione prospera che è oggi. Mobilità significa libertà, garanzia di approvvigionamento e posti di lavoro. È proprio per continuare a progredire in questa direzione che abbiamo bisogno di infrastrutture affidabili ed efficienti, adatte alle nostre esigenze future, sia per il trasporto su strada che ferrovia.

In autunno voteremo sulla prossima fase di sviluppo delle autostrade. Sarà un’ulteriore cementificazione della Svizzera come proclama l’alleanza referendaria?
La domanda che viene posta agli elettori è se siamo d’accordo con il potenziamento mirato di 53 chilometri di autostrade esistenti, che rappresentano il 2,3% della rete delle strade nazionali. Questi progetti comprendono tre gallerie (Basilea, San Gallo, Sciaffusa) e due ampliamenti (Nyon–Vengeron e Wankdorf–Kirchberg). Non si tratta quindi di cementificare il paesaggio come sostengono i promotori del referendum, ma di adeguare la capacità della nostra rete solo laddove ogni giorno si formano ingorghi.

Perché il TCS sostiene la decisione del Parlamento e del Consiglio federale?
Semplicemente perché le strade svolgono un ruolo predominante: tre quarti della nostra mobilità avviene su strada e il 16% su ferrovia. Se allarghiamo lo sguardo vediamo che la rete stradale nazionale rappresenta il 3% della nostra rete stradale, ma assorbe circa il 40% del traffico passeggeri e il 74% del traffico merci. È quindi fondamentale garantire la funzionalità ed affidabilità di questa rete, così come è importante garantire la funzionalità e l’affidabilità della nostra rete ferroviaria. È in quest’ottica che la Confederazione sta adottando fasi successive di sviluppo delle infrastrutture ferroviarie e stradali.

Questi progetti costeranno più di 5 miliardi di franchi. È ragionevole in un momento in cui la Confederazione deve risparmiare in tutti i settori?
Sì, perché questi progetti sono già finanziati dalle numerose tasse che gli automobilisti versano ogni anno al Fondo per le strade nazionali e il traffico d’agglomerato (FOSTRA). Questo fondo è in costante crescita da diversi anni. Tant’è che oggi accumula circa quattro miliardi di riserve. I progetti saranno quindi finanziati dal FOSTRA. Inoltre, secondo la Costituzione queste risorse sono vincolate alle strade e non possono essere utilizzate per finanziare altri compiti della Confederazione.

Non sarebbe più semplice ridurre la nostra mobilità e accontentarci delle infrastrutture attuali?
È illusorio, considerando quanto le persone hanno a cuore la libertà di movimento e quanto dipendono dall’automobile sia per il lavoro che per il tempo libero. Crediamo che la mobilità sia un motore della nostra prosperità e come tale debba essere sviluppata in modo responsabile. Per questo abbiamo bisogno di infrastrutture stradali e ferroviarie affidabili e adatte alle nostre esigenze. Questo vale d’altronde anche per il nostro approvvigionamento.

In definitiva, quali sono secondo Lei i tre principali argomenti a favore di questo ampliamento delle autostrade?
In primo luogo, dobbiamo adattare la nostra infrastruttura stradale allo scopo di renderla affidabile e funzionale entro il 2040. Questa infrastruttura è infatti stata progettata negli anni Sessanta, quando la Svizzera contava ancora 5 milioni di abitanti. In secondo luogo, dobbiamo evitare che quando si formano gli ingorghi sulle autostrade, il traffico si riversi sulle strade cantonali e comunali. Per motivi di sicurezza stradale, nessuno vuole vedere colonne di pendolari passare davanti alle nostre scuole al mattino e alla sera. Infine, dobbiamo sostenere questa fase di sviluppo perché è ragionevole, contenuta e complementare a tutti gli investimenti della Confederazione nei trasporti pubblici e in particolare nella ferrovia.

Ci vuole energia per muoverci (Touring 3/2024)

Dopo le elezioni del 2023 quest’anno i cittadini saranno chiamati alle urne per pronunciarsi su diversi dossier quali la riforma dell’AVS, la salute, l’energia, la biodiversità e il potenziamento mirato delle strade nazionali. Per il TCS quest’ultimo è senz’altro il progetto al centro dell’attenzione. La Svizzera ha bisogno di reti di trasporto funzionanti, sia su strada che rotaia e noi ci impegneremo decisamente in tal senso. 

Ciò premesso, nel 2024 ci attendono ulteriori votazioni che avranno un notevole impatto sul futuro della nostra mobilità. Penso, in primo luogo, alla Legge federale su un approvvigionamento elettrico sicuro con le energie rinnovabili. Ovvero il cosiddetto atto mantello, compromesso forgiato dal parlamento nel 2023 per garantire l’approvvigionamento elettrico della Svizzera da fonti rinnovabili. I capisaldi di questa legge sono l’accelerazione delle procedure, il rafforzamento dell’efficienza energetica e un quadro di riferimento per una ponderazione assennata degli interessi tra protezione dell’ambiente e tutela del paesaggio da un lato e il rapido sviluppo delle nostre infrastrutture dall’altro. 

Il potenziamento delle energie rinnovabili è un fattore chiave per la mobilità di noi tutti: il progressivo abbandono dei combustibili fossili a favore di tecnologie propulsive alternative è un dato di fatto. Oggi questa svolta è scontata non solo in ambito politico, ma anche nell’industria automobilistica. In futuro saranno soprattutto veicoli elettrici a far sì che possiamo spostarci liberamente. Già nel 2023 tra le nuove vetture immatricolate una su cinque era a batteria, fino al 2035 dovrebbero esserlo nove su dieci. Entro il 2050, poi, la Svizzera si è prefissa di conseguire la neutralità carbonica. Al più tardi da questa data dovremo viaggeremo a zero emissioni.

La sicurezza dell’approvvigionamento energetico è indispensabile se non vogliamo, nel vero senso della parola, togliere la spina alla transizione sostenibile. Per raggiungere i suddetti obiettivi non basta aumentare l’efficienza, a medio-lungo termine è fondamentale accrescere la produzione indigena di energia elettrica da fonti rinnovabili. Il decreto mantello fornisce un compromesso coerente in quest’ottica: accorda giustamente la priorità alle energie rinnovabili, ma al tempo stesso pone dei limiti al loro sviluppo in modo da poter tener conto delle esigenze della natura e del paesaggio. 

La nuova legge crea le basi necessarie per un approvvigionamento energetico del nostro Paese più diversificato e resiliente, permette di ridurre le dipendenze e conciliare obiettivi climatici ed economici. Sfruttiamo questo impulso affinché la nostra mobilità possa progredire anche in avvenire.

Le città restino accessibili (Touring 2/2024)

Accoglienti e cosmopolite, è questa l’immagine delle nostre città proiettata verso l’esterno e ben oltre i confini nazionali. E a ragione. Che si tratti di Ginevra, con le sue numerose organizzazioni internazionali, o Losanna, sede del Comitato Internazionale Olimpico, passando per la Berna federale, con il centro storico iscritto nel patrimonio UNESCO e Zurigo e Basilea, importante piazza economica la prima e ricca di beni culturali ed artistici la seconda. E ancora Lucerna, meta che attira turisti da ogni dove, senza dimenticare Lugano con il suo fascino mediterraneo: ciascuna è ammirata a proprio titolo e tutte si pregiano di ottima reputazione all’estero.

Purtroppo questo spirito di apertura celebrato sotto i riflettori internazionali non caratterizza in egual modo le politiche locali dei trasporti, al contrario. Anziché facilitare l’accessibilità al loro perimetro, molte città si stanno via via chiudendo quasi a volersi circondare da mura invisibili. Promuovono sistemi di trasporto unilaterale, focalizzati altrettanto unilateralmente su bici e mezzi pubblici. E ciò non solo a scapito dell’automobile; vengono altresì ignorate forme di mobilità multimodale che garantiscano l’accesso a chi viene da fuori. Oggi, le strategie urbanistiche sono sempre più indirizzate ad eliminare posti di parcheggio ed imporre restrizioni al traffico.

Eppure, non è forse nell’interesse delle stesse città tenere le porte aperte a chi non ha la fortuna di viverci? Il loro benessere non dipende, oltre che dai residenti, anche dai visitatori e pendolari che vi vengono a lavorare? Desidero che sia chiaro ed anzi chiarissimo: l’obiettivo non può essere che tutti prendano la macchina per andare al bar o vengano a comprare il pane nella loro bottega preferita in pieno centro. Tuttavia, le città devono rimanere facilmente accessibili e servite in maniera intelligente, anche per chi non dispone di collegamento diretto e celere in treno.

Per quanto bella e folta la sua chioma, un albero al quale si tagliano le radici non potrà continuare a crescere e prosperare. Allo stesso modo è irragionevole isolare arbitrariamente una città moderna e protesa sul mondo. Questa non vive soltanto attraverso i propri cittadini, bensì anche grazie a chi vi opera, studia, si diverte e passeggia. In altre parole, l’attrattiva di una città si nutre della sua offerta di servizi, del suo tessuto socio­economico, di chi vi abita e la frequenta. È quindi essenziale che rimanga accessibile. Non solamente, ma anche con l’automobile.

Allora ripensiamo le nostre città e facciamo sì che possano fiorire, allargando lo sguardo invece di barricarsi dietro le suddette proverbiali mura.

2023

Occorre uno sviluppo mirato (Touring 11/2023)

In autunno il Parlamento, a larga maggioranza, ha dato luce verde al Decreto federale sulla fase di potenziamento 2023 delle strade nazionali: ampliamento mirato di tre gallerie a San Gallo, Basilea e Sciaffusa e costruzione di corsie aggiuntive sui tratti Wankdorf– Schönbühl–Kirchberg (BE) e Le Vengeron (GE)–Coppet–Nyon (VD). I progetti, per 5 miliardi circa, saranno finanziati tramite il Fondo per le strade nazionali e il traffico d’agglomerato (FOSTRA), alimentato esclusivamente dalle diverse tasse a carico del traffico motorizzato.

Il Consiglio federale giudica la sistemazione di questi tronchi indispensabile a garantire la funzionalità della rete viaria nel suo insieme. Nei punti critici si sono raggiunti livelli di saturazione tali da provocare ingorghi e rallentamenti ricorrenti; le code sono raddoppiate negli ultimi dieci anni arrivando a totalizzare quasi 40 000 ore. Tra il 2009 e 2019 il traffico è aumentato del 139% sotto la spinta, in particolare, della forte crescita demografica. Il governo stesso ammette che si rischia il collasso su oltre 450 chilometri di autostrade se i cantieri approvati non venissero realizzati.

A tambur battente, le organizzazioni ambientaliste hanno lanciato il referendum sbandierando slogan ideologici tipo «prati al posto dell’asfalto». Ma qual è la situazione che ci troviamo ad affrontare effettivamente? Basti citare un dato statistico: le autostrade, che costituiscono appena il 3% della rete complessiva, assorbono circa il 50% di tutto il trasporto motorizzato. Vogliamo che il traffico scorra fluido sui grandi assi stradali, facili da insonorizzare, oppure preferiamo che le reti cantonali vengano invase dal traffico d’aggiramento? Perché, contrariamente a quanto pretendono coloro che osteggiano una rete moderna ed efficiente, la mobilità non scomparirà come per magia ed è illusorio pensare di trasferire la domanda interamente sui mezzi pubblici, che già oggi toccano i limiti di capacità nelle ore di punta.

Siamo realisti e prendiamo decisioni assennate per i prossimi decenni. Smettiamola di stigmatizzare gli ampliamenti puntuali dell’infrastruttura autostradale e ricordiamoci che questa costituisce la spina dorsale della nostra economia e la base stessa della nostra mobilità. Le autostrade completano organicamente la rete ferroviaria. La Confederazione ha preventivato stanziamenti ben più massicci per la rotaia senza che ciò abbia suscitato simili levate di scudi negli ambienti favorevoli alla strada. D’altronde sarebbero del tutto fuori sintonia con la popolazione, talmente i nostri spostamenti sono diventati multimodali. Se governare significa prevedere, allora investiamo oggi in una mobilità sicura, sostenibile e liberamente scelta dall’utente. Il Consiglio federale e il Parlamento potranno contare sul pieno sostegno del TCS a questa nuova fase di sviluppo mirato delle nostre strade nazionali.

Non scordiamo la mobilità! (Touring 10/2023)

La campagna elettorale batte il pieno e tornano alla ribalta le tematiche che maggiormente preoccupano i cittadini: costo della vita, pensioni, energia e immigrazione. I partiti e tutte le candidate e i candidati presentano i loro slogan, punti di vista, avanzano proposte e postulati. Ed è giusto così, perché gli elettori devono potersi fare un’idea precisa di chi intende rappresentarli. Tuttavia v’è un tema a mio avviso centrale ma troppo poco affrontato, ovvero la mobilità. Che pure costituisce una base fondamentale del benessere della Svizzera: senza una mobilità funzionante un paese di pendolari come il nostro si ferma. Senza libertà di movimento, la nostra società e la nostra economia crollerebbero rovinosamente.

Siamo fortunati di disporre di una rete di trasporti, fra ferrovia e strada, ben sviluppata. È fondamentale far sì che sia l’una che l’altra restino efficienti. Il deragliamento del carro merci e la conseguente chiusura della galleria ferroviaria del San Gottardo lo scorso mese di agosto lo hanno riconfermato, per l’ennesima volta: abbiamo bisogno di entrambe le modalità, che devono essere mantenute in buono stato, commisurate alle esigenze, combinate ed interconnesse in maniera ottimale. Dobbiamo esserne consapevoli, anche nell’attuale dibattito sul clima. Le richieste ideologiche e dogmatiche di un trasferimento del traffico dalla gomma alla rotaia dettato (e finanziato) dallo Stato non sono solo illusorie, ma pure pericolose. Già oggi le capacità hanno raggiunto una saturazione tale che basta il proverbiale granello di sabbia a creare forti disagi e ritardi dei treni. La nostra mobilità ha decisamente bisogno di ridondanza nel sistema dei trasporti, individuale e pubblico, e di complementarità fra strada e ferrovia.

Possiamo raggiungere tutto ciò senza rinunciare alla sostenibilità. Basta pensare agli enormi progressi tecnologici che si stanno compiendo nel trasporto su strada, sia a livello di motorizzazioni che di automazione ed integrazione. La ferrovia farebbe bene a prenderne spunto: l’industria automobilistica sta investendo miliardi in alternative pulite ed efficienti alle propulsioni convenzionali, i taxi autonomi, cioè senza conducente, stanno già girando nelle città della costa occidentale degli Stati Uniti e hanno il potenziale di far sfumare i confini fra trasporto pubblico e privato. Le compagnie aeree hanno a loro volta capito che devono reinventarsi e che il loro tradizionale modus operandi è ormai obsoleto. La Svizzera può fare a meno di scontri ideologici e tattiche di stallo. Il paese ha bisogno, più che mai, di apertura, lungimiranza, buon senso e pragmatismo, soprattutto quando è in ballo la nostra mobilità. Partiti e candidati sono invitati a comunicare chiaramente alle elettrici ed agli elettori dove si posizionano a riguardo.

Soluzioni, non forzature (Touring 9/2023)

Gli svizzeri sono mobili? Il Microcensimento dell’Ufficio federale di statistica fornisce un quadro dettagliato del comportamento della popolazione in fatto di mobilità e trasporti. Ed altrettante opportunità. L’ultima rilevazione dimostra infatti che gli spostamenti sono indispensabili nella nostra vita quotidiana. In media, gli svizzeri trascorrono circa ottanta minuti al giorno in viaggio, per vari motivi: lavoro, formazione, acquisti e tempo libero. In media percorriamo 15 000 chilometri all’anno, circa la distanza dalla Svizzera al Polo Sud. Quanto ai mezzi usati, emerge che la Svizzera è multimodale, con una netta prevalenza dell’auto: quasi l’80% delle famiglie ne ha una, due terzi hanno una bicicletta e un’economia domestica su due possiede un abbonamento ai trasporti pubblici.

Tuttavia, il trasporto individuale motorizzato (TIM) viene spesso escluso dai dibattiti sulla multimodalità. A torto. Con circa 21 chilometri rappresenta il 69% dei tragitti compiuti giornalmente dai cittadini, e il trend non accenna a fermarsi. Considerando poi l’aumento di giovani neopatentati, quest’ostracismo nei confronti del TIM non ne sminuisce certo la rilevanza. Sia il trasporto collettivo che quello privato sono vettori di trasporto consolidati e funzionanti. Entrambi toccano però i loro limiti nelle ore di punta. Mettere l’uno contro l’altro o addirittura costringere l’utente a servirsi dei mezzi pubblici è controproducente. Piuttosto dobbiamo promuovere la trasformazione ecologica per tutte le forme di mobilità e combinarle in maniera efficace. Negli agglomerati, spostarsi diventa sempre più disagevole a causa della crescente concentrazione e della diffusione di nuovi mezzi per la mobilità urbana. La loro integrazione intelligente può contribuire a risolvere le criticità e snellire i flussi di traffico – una preoccupazione particolarmente sentita dalle persone interpellate. Se vogliamo coinvolgere nella transizione sostenibile anche gli utenti del TIM sarà indispensabile promuovere lo sviluppo di hub multimodali non soltanto nelle città, bensì anche nelle aree limitrofe. Un sistema dei trasporti efficiente e moderno è di vitale importanza per la Svizzera. Occorrono condizioni quadro mirate e adeguate ai fabbisogni. L’indagine sulla mobilità può fornire una valida base per rendere la discussione, spesso accesa ed emotiva, più oggettiva e aderente ai fatti. Utilizziamola per trovare soluzioni costruttive invece di seguire una politica ostinata cieca alla realtà della gente.

Legge sul clima: e adesso? (Touring 7-8/2023)

Negli ultimi due anni, i cittadini svizzeri hanno indicato alle autorità il cammino da seguire. Nel 2021 hanno respinto la legge sul CO₂ e ora approvato quella sul clima. Il messaggio uscito dalle urne è chiaro: sì a incentivi ed investimenti, no a divieti e, soprattutto, a imposte eccessive. Il Parlamento dovrà tenerne conto quando sarà chiamato ad esaminare la nuova legge sul CO₂.

Infatti, mentre la legge sul clima non fa che recepire gli obiettivi degli accordi di Parigi nell’ordinamento svizzero e stabilisce una serie di misure per l’edilizia e l’industria, nella legge sul CO₂ si tratterà di definire i provvedimenti necessari nell’ambito della mobilità. Sarà la chiave maestra che aprirà la strada alla transizione ecologica della mobilità.

In questo contesto il Parlamento dovrà in particolare stabilire i prezzi massimi alla pompa e fissare il quadro dei finanziamenti da destinare allo sviluppo della rete di ricarica tra il 2025 e il 2030, condizione indispensabile in vista di promuovere la mobilità elettrica. I nostri rappresentanti faranno bene a ricordare l’esito delle due precedenti votazioni quando passeranno al vaglio il disegno di legge inviato dal Consiglio federale l’anno scorso. Due le pecche da correggere: in primis il testo tralascia di specificare i costi di determinate misure che andranno automaticamente ad incidere sui prezzi dei carburanti e non impone un tetto di spesa chiaro e trasparente. E in secondo luogo le proposte del Governo per quanto riguarda le stazioni di ricarica sono fin troppo timide: sono appena 30 milioni di franchi all’anno che Berna intende sbloccare per incoraggiare l’installazione di punti ricarica al domicilio e nelle aziende. Una somma tanto più irrisoria se si considera che due terzi della popolazione vivono in affitto.

Il TCS contiuerà a sostenere la transizione ecologica della mobilità. Ci aspettiamo tuttavia che il Parlamento limiti l’aumento previsto del prezzo dei carburanti e riveda decisamente il contributo federale alla realizzazione di un’efficiente infrastruttura di ricarica, triplicando quanto proposto dall’Esecutivo. D’altronde questi investimenti non toccheranno il portafoglio degli automobilisti e contribuenti. Il Fondo stradale viene infatti alimentato dalle tasse sui carburanti ed attualmente dispone di riserve per 3,8 miliardi di franchi. Un bel cuscinetto finanziario! È quindi il momento di sfruttare l’opportunità di investire nell’infrastruttura di base e nella gestione della potenza elettrica delle case plurifamiliari per i prossimi sei anni. La mobilità deve e può continuare sulla via della transizione ecologica. Sarà al centro della nostra politica climatica durante i prossimi anni.

Incoraggiare anziché proibire (Touring 6/2023)

A colloquio con il presidente centrale del TCS per parlare della legge sul clima che voteremo prossimamente. Nell’intervista Peter Goetschi spiega perché il TCS dice sì e quali sfide saremo chiamati a gestire nella mobilità individuale.

Quest’inverno le autorità hanno chiesto ai cittadini svizzeri di risparmiare energia. Il TCS ha raccolto l’appello, cosa ha fatto e cosa prevede di fare ancora in futuro?
Peter Goetschi: Affrontiamo la situazione con pragmatismo e misure concrete. Abbiamo installato pannelli fotovoltaici sul tetto della nostra nuova sede amministrativa di Ostermundigen nei pressi di Berna e dei centri dislocati di Emmen (LU) ed Ittigen. Il garage sotterraneo a Ostermundigen è dotato di wallbox per la ricarica di auto e bici elettriche. Nella sede centrale a Vernier stiamo altresì investendo nell’efficienza energetica dell’immobile come pure nell’infrastruttura di ricarica per i nostri dipendenti. Esaminiamo costantemente gli impianti, ad esempio di ventilazione, riscaldamento o illuminazione, per sfruttare ulteriori margini di miglioramento a livello operativo. Quest’inverno abbiamo così potuto risparmiare circa il 10 percento di energia a conferma del fatto che tutti possono e devono contribuire alla soluzione di questa problematica.

Vi sono però timori che non sarà possibile produrre energia rinnovabile sufficiente a far fronte alla crescente elettrificazione non solo dei sistemi di riscaldamento, ma anche della mobilità.
È indubbio che dobbiamo investire in fonti rinnovabili se vogliamo uscire dal fossile. Aprendo al solare alpino (semplificazione della disciplina per la costruzione di grandi centrali fotovoltaiche ad alta quota, ndr.) il Parlamento ha dato un forte segnale in tal senso. Ma a prescindere da tali maxiprogetti, dobbiamo ottimizzare l’efficienza energetica. Con le pompe di calore e i veicoli elettrici stiamo già compiendo un passo nella direzione giusta. Il motore elettrico è da tre a quattro volte più efficiente di quello a combustione. È vero che in definitiva avremo bisogno di più elettricità, ma complessivamente di meno energia. È questo, in sostanza, il traguardo al quale puntiamo e che dobbiamo raggiungere.

L’energia è il fulcro della legge sul clima messa al voto il 18 giugno. Perché il TCS ha deciso di sostenerla?
La Confederazione ha ratificato l’Accordo di Parigi e quindi si è impegnata ad intraprendere i passi necessari per realizzarne gli obiettivi. La legge mira a far sì che la Svizzera possa arrivare a zero emissioni nette entro il 2050. Anziché proibire, fa leva su incentivi mirati e fissa obiettivi intermedi sensati. Inoltre la legge tiene conto della fattibilità economica e tecnologica dei provvedimenti. Traccia dunque un cammino realizzabile verso gli obiettivi dell’Accordo sul clima, senza peraltro sancire divieti. È precisamente questo l’aspetto che ha determinato la presa di posizione del TCS.

Ciò significa che non cambierà nulla per quanto riguarda la mobilità?
La mobilità è direttamente interessata dalla votazione attraverso i valori indicativi previsti dalla legge. Le relative modalità di attuazione dovranno però essere definite nell’ambito della nuova normativa sul CO₂ attualmente in discussione in parlamento. Ovviamente, seguiremo da vicino questi sviluppi e il contributo che la mobilità può e deve dare alla protezione dell’ambiente. È fuori dubbio che il settore dei trasporti debba ridurre progressivamente l’impronta di carbonio, ma questo dovrà avvenire mediante incentivi piuttosto che divieti.

Secondo lei la legge sul clima provocherà un aumento del prezzo della benzina?
È importante garantire che il traffico individuale motorizzato rimanga attraente ed accessibile. Il passaggio alla mobilità elettrica non si farà dall’oggi al domani. Non si può certo pretendere che la gente cambi auto ogni anno. Ed è sbagliato volerle far ingoiare la svolta a colpi di massicci rincari dei carburanti fossili. Piuttosto si tratta di sviluppare condizioni quadro adeguate. Nell’ambito della legge sul CO₂ ci batteremo per impedire che i prezzi dei carburanti salgano alle stelle.

Cosa si aspetta il TCS su questo versante?
È fondamentale favorire lo sviluppo dell’infrastruttura di ricarica. Soltanto se si crea una rete capillare le persone saranno disposte a passare all’elettrico. Occorre cioè offrire la possibilità di ricaricare l’auto al proprio domicilio, e segnatamente nelle case plurifamiliari. Altro punto essenziale, incoraggiare la transizione evitando peraltro rincari smisurati dei prezzi dei carburanti. Non spetta alla politica imporre arbitrariamente una tecnologia. Se vogliamo trovare soluzioni efficaci ed innovative dobbiamo rimanere aperti al progresso tecnologico.

Dalla strada per la strada (Touring 5/2023)

Alla fine di marzo, dopo i primi 100 giorni in carica il consigliere federale Albert Rösti ha presentato le sue priorità nel quadro di una conferenza stampa. Ho letto con piacere che il nuovo capo del DATEC pone l’accento sullo sviluppo delle infrastrutture. Infatti, c’è urgente bisogno d’intervenire. Gran parte delle strade nazionali risalgono agli anni Sessanta e Settanta e toccano ormai i loro limiti. La conseguenza: il costante sovraccarico dei tratti più frequentati inducono gli utenti a deviare verso le strade cantonali e comunali, un fenomeno che ha ripercussioni negative sulla qualità di vita degli abitanti dei quartieri limitrofi e sulla sicurezza stradale nel suo insieme.

Nell’ambito del Programma di sviluppo strategico delle strade nazionali (PROSTRA), il Governo mira a garantire la performance della rete viaria anche in futuro. Nel messaggio sottoposto al Parlamento in febbraio chiede, oltre allo stanziamento del limite di spesa per le attività di esercizio e manutenzione, il credito d’impegno per i progetti della fase di potenziamento 2023. Chiede di varare quelli più urgenti ed avanzati, per un valore complessivo sui quattro miliardi di franchi. Nello specifico si tratta dei seguenti: Wankdorf–Schönbühl (BE), Schönbühl–Kirchberg (BE), Rosenbergtunnel (SG), Rheintunnel (BS/BL) e Fäsenstaubtunnel (SH).

Purtroppo non si può ancora cantar vittoria. L’ATA minaccia di lanciare il referendum e il clima pre-elettorale si sta infuocando. Tanto più importante, quindi, evitare che il dibattito assuma toni ideologici. In questo contesto va ricordato il sì dei cittadini bernesi ai progetti cantonali di risanamento «Aarwangen» ed «Emmentalwärts» a dimostrazione che la maggioranza si rende conto della problematica ed è favorevole a dar mano a lavori per mantenere la rete stradale all’altezza.

Le strade nazionali meritano lo stesso trattamento prioritario. Le risorse ci sono e provengono dal Fondo per le strade nazionali e il traffico d’agglomerato (FOSTRA) ben dotato, alimentato, in buona parte, dall’imposta sui carburanti. I finanziamenti secondo il principio «dalla strada per la strada» è quindi assicurato. La necessità d’agire è evidente, le opere pronte ad essere realizzate e il consenso della popolazione ben consolidato. Ciononostante c’è ancora chi si oppone, senza argomenti sostanziali, cosa impensabile se fosse in ballo la rotaia. Eppure, un sistema globale dei trasporti funzionante presuppone la coesistenza di diversi modi di trasporto e l’integrazione fluida fra i vari livelli, tra rete nazionale e regionale. I requisiti posti alle nostre infrastrutture continueranno a crescere. Allora, sblocchiamo la via e diamo luce verde alla costruzione di una rete di strade nazionali efficiente.

Ci sono limiti ai 30 km/h (Touring 4/2023)

Un anno fa il TCS è sceso in campo per opporsi fermamente all’introduzione su scala generalizzata del limite di 30 km/h
nelle località. In un comunicato congiunto diramato con il Servizio informazioni per il trasporto pubblico (Litra), la Federazione svizzera dei pompieri (FSP) e l’Unione svizzera delle arti e mestieri (Usam) ha sottolineato la necessità di un approccio
differenziato ai regimi di velocità. A spalleggiare questo «veto», i risultati di un sondaggio rappresentativo commissionato a Link: due terzi degli interpellati rifiutava la generalizzazione del limite di velocità di 30 km/h nell’abitato, senza il notorio divario fra città e campagna.

Da allora il dibattito non si è calmato né fatto più trasparente, anzi. Per citare alcune iniziative che in questi ultimi tempi spingono per i 30 km/h: Ginevra ha decretato l’introduzione del limite generalizzato nel centro città di notte, mentre San Gallo estende le zone 30, e l’Unione delle città svizzere vuole addirittura che il limite massimo di velocità di 30 km/h diventi la norma nei centri urbani. Piani, questi ultimi, che hanno suscitato una levata di scudi a Basilea, Losanna e Lucerna, con una valanga di ricorsi e obiezioni, fra cui l’Unione dei trasporti pubblici (UTP) che recentemente ha detto no all’introduzione a tappeto del limite dei 30 km/h.

Ma cosa ne pensano i diretti interessati? Un secondo sondaggio rappresentativo appena svolto da Link fra gli abitanti delle dieci principali città svizzere conferma i dati rilevati nel 2022: la maggioranza si dice contraria alla generalizzazione dei 30 km/h e privilegia un sistema di limiti differenziati. Quindi, mentre i cittadini continuano ad opporsi all’introduzione arbitraria dei 30 km/h, le autorità perseverano imperterrite sulla via tracciata, imponendo nuove restrizioni nei centri abitati, in maniera arbitraria e non coordinata.

Ci ritroviamo così a districarci in un labirinto vieppiù incoerente di limiti di velocità, zone e regolamenti che variano da un agglomerato all’altro e scavalcano la gerarchia delle strade. A risentirne sono la fluidità e sicurezza della circolazione, l’attrattiva dei mezzi pubblici e i quartieri che rischiano di venir invasi dal traffico di aggiramento. La mobilità all’interno delle località, con le loro diverse utenze, ciascuna con bisogni e caratteristiche proprie, rimane una problematica complessa. Invece di propagare il limite dei 30 km/h come toccasana, occorre un approccio puntuale che rispetti la gerarchia della rete e ne garantisca la funzionalità: di principio devono rimanere in vigore i 50 km/h sulle strade destinate prevalentemente al traffico veicolare e i 30 km/h su quelle d’interesse locale, ad esempio nelle aree residenziali.

Il passato insegna (Touring 3/2023)

I fatti sono argomenti testardi e talora è bene ricordarli. Giugno 2021: con il 51,6%, il popolo svizzero ha respinto la revisione della legge sul CO₂. A spostare l’ago della bilancia verso il no, fra le altre ragioni, il fondo per il clima poco trasparente che sarebbe stato istituito e l’aumento della tassa sui carburanti fino a 12 centesimi al litro. Il messaggio dei cittadini è stato chiaro. L’Accordo di Parigi non va attuato in una logica punitiva. Governo e deputati hanno reagito dichiarando, all’unisono, che la prossima legge dovrà essere basata su incentivi o non si farà proprio. Tutti i partiti sono stati concordi. Facendo leva su condizioni quadro efficaci, promozioni ed investimenti mirati, il popolo finirà per aderire agli obiettivi climatici ratificati dalla Svizzera. Ora, il Consiglio federale ha posto al vaglio del Parlamento un nuovo progetto di legge.

A prima vista sembra che l’Amministrazione abbia seguito la strada delineata: il supplemento di compensazione rimane plafonato agli attuali 5 centesimi. Ma c’è l’inghippo e lo si scopre ad una lettura più attenta: en passant viene introdotto l’obbligo per gli importatori di carburanti di mettere sul mercato combustibili rinnovabili nella misura di fino al 10 percento. Non essendo vincolati al massimale di 5 centesimi, questo provvedimento rischia di tradursi in un rincaro alla pompa fino a 15 centesimi al litro. Si sfonderebbe così addirittura il limite stabilito nella legge respinta! Chi nasce tondo non può morire quadrato, dice un proverbio. Il testo contiene difetti sostanziali che vanno sanati. Lo stesso dicasi delle condizioni quadro e dei sostegni finanziari previsti. È vero che 30 milioni all’anno saranno stanziati per il potenziamento dell’infrastruttura di ricarica sui parcheggi pubblici, nelle aziende e negli edifici. Un passo che va certo nella giusta direzione, ma assolutamente insufficiente. Perché anche qui i fatti sono testardi. Secondo stime conservative, entro il 2030 un terzo del parco circolante, ovvero quasi due milioni di veicoli, saranno elettrici e dovranno rifornirsi regolarmente alle colonnine. In questa prospettiva, la somma preventivata è una goccia nel mare. E allora, buttiamo via il bambino con l’acqua sporca? No, per uscire dall’impasse e raggiungere gli obiettivi climatici fissati ci vuole una nuova legge realistica. Da un lato va imposto un tetto all’aumento del prezzo dei carburanti al di sotto dei 12 centesimi bocciati dal popolo. E dall’altro occorrono sussidi allo sviluppo della rete di ricarica ben superiori ai trenta milioni di franchi all’anno anzidetti per accelerare la transizione ecologica nella mobilità. A questo punto tocca al Parlamento apportare i correttivi opportuni alla nuova Legge sul CO₂ per evitare che venga poi affossata alle urne.

Governare è prevedere (Touring 2/2023)

Negli ultimi anni ho avuto l’onore di incontrare e discutere varie volte con la consigliera federale Simonetta Sommaruga. Ne serberò il ricordo di una donna dalle forti convinzioni, ma disposta ad ascoltare l’altro. Nonostante le nostre differenze d’opinione su svariate tematiche, ha sempre avuto un orecchio aperto per le sfide della mobilità e ci tengo a ringraziarla del suo impegno al servizio della popolazione. Ora il timone del DATEC è nelle mani di Albert Rösti. Molti ne hanno salutato l’elezione definendolo un politico esperto capace di compromesso. Quale presidente del TCS ho avuto a che fare con il neoconsigliere federale e leggo divertito che sarebbe prigioniero delle lobby stradali. Non è così che lo conosco e personalmentelo descriverei piuttosto come uomo indipendente, aperto alla discussione e pragmatico. Tutte qualità indispensabili a Palazzo. Quale membro dell’esecutivo deve innanzitutto saperunire e farsi portavoce dei progetti costruendo le maggioranze necessarie. Al di là delle divisioni partitiche, è evidente a tuttiche le problematiche che assillano il sistema dei trasporti sono numerose e impellenti. Occorre affrontarle in uno spirito di concordanza e sulla base dei fatti e non delle credenze ideologiche di ciascuno. Penso in particolare alle nostre infrastrutture che dovranno presto rispondere ai bisogni di 10 milioni diabitanti. È indispensabile potenziarle con urgenza per non rischiare un blocco della nostra economia e mobilità. Non aspettiamoci miracoli o grandi ribaltamenti dopo il passaggio delleconsegne nel DATEC, ma piuttosto una transizione «alla svizzera», e cioè una continuazione dei lavori in corso, seppur conqualche ritocco e spostamenti degli accenti nella gestione dei dossier. Spero che i responsabili concepiscano il futuro dellamobilità in un’ottica globale e di complementarietà dove efficacia ed efficienza siano i criteri determinanti dell’azione di governo. L’attuale sviluppo tecnologico ci indica chiaramenteil cammino: l’obiettivo di decarbonizzazione della mobilità privata comporterà un cambio di paradigma tale da modificare gli assunti che hanno guidato le decisioni politiche negliultimi vent’anni. La mobilità individuale sarà più silenziosa, più sicura e più pulita e svolgerà un ruolo fondamentale all’interno di una rete di trasporto multimodale interconnessa. A maggior ragione dobbiamo adottare una visione d’insieme, a 360 gradi. Allora se, come qualcuno ha detto, «governareè prevedere», auguro ad Albert Rösti di poter far fronte conserenità alle numerose sfide che lo aspettano. Conti pure sullanostra volontà di trovare soluzioni socialmente giuste, economicamente viabili e politicamente accettabili.

2022

L’elettromobilità salva energia (Touring 11/2022)

Piani di salvataggio per i fornitori di energia, aumento temporaneo della produzione nelle centrali idroelettriche durante la stagione invernale, approvvigionamento di riserve supplementari di gas e addirittura sviluppo del fotovoltaico alpino, tutti provvedimenti adottati a ritmo accelerato dal governo per far fronte alla crisi energetica. Al tempo stesso il Consiglio federale lancia un appello ai cittadini affinché risparmino energia. Ma contrariamente alle illuminazioni natalizie, finora non si tocca la mobilità elettrica. E a ragion veduta: smorzarla di punto in bianco sarebbe una reazione dettata dal panico.

Difatti la mobilità elettrica contribuisce in misura rilevante ad un consumo globale più efficiente di energia. È vero che i motori a combustione stanno diventando sempre più parsimoniosi. Tuttavia non potrebbero rivaleggiare con le propulsioni elettriche che in media consumano appena un terzo di quelle convenzionali. Inoltre, la svolta elettrica nel settore della mobilità ci permette di ridurre la nostra dipendenza dalle fonti fossili: le 100 000 vetture elettriche attualmente in circolazione sulle strade svizzere riducono già oggi, nell’ordine di 100 milioni di litri circa, il consumo annuo di carburanti tradizionali.

Questa tendenza non deve assolutamente essere interrotta e meno ancora dobbiamo dare retta alle cassandre che incitano a togliere la spina alle auto elettriche, assieme alle saune e piscine coperte, per una presunta penuria di elettricità incombente nei mesi invernali. L’attuale parco macchine elettriche rappresenta neppure lo 0,5% del consumo totale di elettricità in Svizzera. Si tratta di un quantitativo trascurabile adesso e lo sarà anche quest’inverno e nel prossimo futuro. Inoltre, le elettriche non vengono ricaricate tutte insieme, in simultanea. Grazie a sistemi intelligenti di gestione della batteria, la ricarica è programmabile in maniera precisa e puntuale. Vale a dire che si possono sfruttare quelle fasce orarie in cui il bisogno globale di corrente è più basso. Non va poi dimenticato neppure il potenziale offerto dalla ricarica bidirezionale che – seppure ancora in fase embrionale, perlomeno in Svizzera – consente di accumulare e trasferire l’energia inutilizzata dal veicolo alla casa, rendendo così la rete più stabile. Insomma, invece di considerare la mobilità elettrica una concausa del problema, sosteniamola come parte della soluzione.

La mobilità ha il suo prezzo (Touring 10/2022)

Quest’estate la Germania ha lanciato un’iniziativa audace, senza precedenti: l’abbonamento mensile a nove euro per i mezzi pubblici regionali. La misura faceva parte di un pacchetto di aiuti alle famiglie approvato dal governo per contrastare il forte aumento dei prezzi energetici, dei generi alimentari e della mobilità e che comprendeva altresì bonus per i figli, forfait per l’energia nonché sconto sui carburanti.

Berlino ha quindi osato fare ciò che in passato è già stato reclamato a gran voce, ma finora senza successo, anche in Svizzera, e cioè interventi contro il caro-vita secondo il principio dell’annaffiatoio. Sebbene sia ancora presto per trarre un bilancio definitivo dell’azione dei nostri vicini, vale la pena prenderne spunto per alcune riflessioni sul trasporto pubblico gratuito che viene regolarmente – recentemente con ancor maggior impeto – tirato in ballo dai rosso-verdi come soluzione miracolosa alle sfide della mobilità e del clima. Ma è un approccio condannato al fallimento, perché nulla a questo mondo è (quasi) gratis e non lo è certo il biglietto unico: l’esperimento non può dirsi riuscito, ha scavato un buco di centinaia di milioni nelle casse dello Stato tedesco che saranno i contribuenti a dover colmare. Inoltre, non ha risolto affatto i problemi del traffico né giovato alla causa della mobilità sostenibile, dimostrando di nuovo che non basta rendere i servizi gratuiti per indurre i consumatori a scelte ragionevoli. Anzi, i treni sovraccarichi, le stazioni affollate, i disagi avranno forse scoraggiato molti dal passare ai trasporti pubblici.

Se quindi, sullo sfondo di prezzi in crescita, vogliamo preservare la nostra libertà di movimento, non dobbiamo farci ingannare da offerte cosiddette gratuite ed altri specchietti per le allodole. È sbagliato promuovere alla cieca i trasporti pubblici. Non dimentichiamo che le auto stanno diventando sempre più ecologiche. Con oltre il 70% dei chilometri-persona percorsi in macchina e appena il 20 con i mezzi pubblici, i soli trasporti collettivi non potrebbero garantire i nostri spostamenti. Si tratta piuttosto di combinare ed integrare intelligentemente i diversi mezzi disponibili. Il nostro è un territorio piccolo servito da una rete stradale e ferroviaria (più o meno) efficiente. Abbiamo bisogno di entrambe, non sempre in parallelo, ma ben interconnesse. Questa infrastruttura costa, e deve essere pagata dagli utenti. È illusorio sovvenzionare ancora di più il trasporto pubblico, che oggi copre meno del 50% dei costi. Non lasciamoci sedurre dal canto delle sirene che promettono di farci viaggiare gratis. Tutto, pure la mobilità, ha un prezzo.

I motori termici vanno in soffitta? (Touring 9/2022)

La notizia ha destato scalpore: «UE: Stop alla vendita di vetture a benzina e diesel dal 2035». Come spesso succede, questi titoli ad effetto mancano di rigore giornalistico e in realtà non è ancora stato deciso nulla di concreto. Ci vorrà del tempo per conciliare le posizioni del Parlamento europeo con quelle degli stati membri. Inoltre e soprattutto la decisione non mira tanto a vietare formalmente i motori a combustione quanto piuttosto a bandirli di fatto dalle strade riducendo il limite delle emissioni inquinanti a zero grammi al chilometro.

Le reazioni non si sono fatte attendere. Il fronte del dissenso vede numerosi paesi prendere le distanze, consapevoli delle enorme ripercussioni che il passo avrebbe sulla loro economia. L’abbandono dei motori termici parte dal presupposto che l’industria automobilistica sia pronta alla transizione e che dovunque esistano le condizioni quadro necessarie, in primis l’infrastruttura di ricarica. È vero che i costruttori si stanno preparando e taluni hanno già annunciato che fermeranno la produzione di auto a combustione in un futuro più o meno prossimo. Tuttavia, è palese che non tutti i paesi membri saranno in grado di creare per tempo la rete di ricarica indispensabile. Non solo, alcuni governi manifestano reticenze nei riguardi del divieto, formale o di fatto, dei motori a combustione, che considerano un freno all’innovazione, ad esempio nel campo dei carburanti alternativi. D’altronde, anche nell’ipotesi di una crescita esponenziale delle immatricolazioni di auto elettriche, il parco circolante rimarrà ancora a lungo composto prevalentemente da veicoli a propulsione tradizionale. Ecco perché è sensato, anzi fondamentale, sostenere la ricerca e lo sviluppo di alternative non fossili per rendere anche le flotte attuali più pulite.

Oggi, la via verso una mobilità individuale sostenibile è chiaramente tracciata, eppure dobbiamo desistere da divieti assolutistici; non rispondono alle attese dei consumatori e risultano difficili da imporre. Si tratta piuttosto di definire degli obiettivi precisi e raggiungibili e garantire dapprima le opportune condizioni quadro. Soltanto così potremmo realizzare con successo la svolta ecologica, indipendentemente dalla tecnologia che finirà per avere il sopravvento. Sebbene formalmente non siano di applicabilità diretta per la Svizzera, le decisioni di Bruxelles hanno un grosso impatto. Ecco perché continueremo a seguire da vicino, assieme ai club nostri partner e in seno alle associazioni internazionali del settore, l’evoluzione del dossier a livello comunitario così da poter accompagnare i nostri soci nel processo di profonda trasformazione in atto. Sono del parere che attualmente conviene mantenere la calma: di certo non è ancora giunto il momento di mandare in soffitta le vetture a benzina e diesel!

Investimenti da smuovere (Touring 7-8/2022)

Di fronte ai crescenti timori di penuria energetica, Berna reagisce. Nell’ottica di aumentare la produzione di elettricità il Consiglio federale intende rivedere il diritto di ricorso delle associazioni, senza peraltro eroderlo. Ha messo in consultazione un documento che propone di accelerare l’esame dei ricorsi contro i progetti in campo energetico di importanza strategica. Data l’urgenza, la politica non vuole più temporeggiare e chiama all’azione.

Purtroppo, la nostra rete di strade nazionali, notoriamente sovraccarica, non gode della stessa attenzione. È vero che non si lesina certo sui mezzi finanziari: ogni quattro anni il Consiglio federale pone al vaglio del Parlamento i prossimi interventi di potenziamento nel quadro del Programma di sviluppo strategico delle strade nazionali (PROSTRA). Nel 2019 è stato approvato un credito di 3,3 miliardi per opere di sistemazione ed ampliamento fino al 2023 (progetti infrastrutturali, incremento di capacità, decongestionamento). Per il 2024–2027, il Consiglio federale ha appena messo sul piatto 4,3 miliardi di franchi per la realizzazione di progetti in fase avanzata, priorizzando gli assi autostradali ormai saturi in modo da migliorare la fluidità del traffico su tutta la rete viaria svizzera.

Insomma, il Fondo per le strade si presenta in ottima salute e le criticità sono ben note, eppure gli ingorghi continuano ad aumentare, passiamo sempre più ore incolonnati. Le ragioni sono sotto gli occhi di tutti: progetti autorizzati incontrano forti opposizioni che ne ritardano l’attuazione. Oggi, sono bloccati importanti cantieri autostradali, sia nel canton Soletta che in quelli di Lucerna e Vaud: nello specifico, dei 3,3 miliardi stanziati per la fase 2019–2023 di cui sopra, alla fine del 2021 sono stati spesi appena 589 milioni.

Alle prese con un ostracismo immobilizzante, non sarebbe opportuno che la politica dedicasse maggiore energia a far avanzare i lavori, piuttosto che alla pianificazione finanziaria? A che pro predisporre i fondi necessari se poi rimangono nel cassetto?

L’esempio attuale della politica energetica mostra la necessità di migliorare e snellire le procedure giuridiche per rafforzare gli investimenti. Il problema delle opposizioni cittadine ad oltranza va affrontato di petto. Né le lungaggini istituzionali, né la talora difficoltosa collaborazione tra comuni, cantoni e governo federale servono a giustificare l’inazione. Quanti chilometri dobbiamo ancora rimanere fermi per strada giorno per giorno prima che le autorità prendano davvero in mano la situazione? Per uscire da questa impasse dobbiamo lubrificare gli ingranaggi burocratici e rimuovere gli ostacoli agli investimenti. Ne va della nostra mobilità.

Smettiamo di stigmatizzare (Touring 6/2022)

Dieci anni fa il Parlamento approvava Via sicura. Il TCS ne appoggiava l’indirizzo e gli aspetti centrali, in particolare la definizione di pirateria stradale, nel contempo criticava alcuni elementi problematici, fra cui le sanzioni sproporzionate rispetto ad altri reati più gravi. Con l’entrata in vigore si videro presto le conseguenze aberranti della legge: una vera e propria stigmatizzazione dell’automobilista, punito con rigore draconiano al minimo sgarro. La repressione non risparmiava né gli agenti di polizia, condannati per eccesso di velocità in servizio, né i conducenti «normali» che finirono in prigione al primo fallo. Peggio ancora: la legge privava la magistratura di uno strumento essenziale: il margine di apprezzamento.

Nessuno negherebbe la necessità di perseguire chi viola le norme della circolazione. Ma la sicurezza stradale può (e deve!) passare anche attraverso un costante miglioramento dell’infrastruttura, la modernizzazione del parco veicoli ed investendo nella formazione alla guida e nella promozione della sicurezza di tutti gli utenti, impegno che il TCS vive e rinnova con passione dal 1908. Per quanto palese che la legge andasse rivista e corretta, di fronte alle sollecitazioni emotive di talune testate giornalistiche il cammino si rivelò lungo e laborioso. Ora, dopo molteplici corsi e ricorsi, le Camere federali stanno finalizzando il terzo pacchetto di riforme. Siamo lieti che abbia prevalso il buonsenso e che il nostro appello, condiviso da un folto numero di giuristi ed esperti, sia stato accolto. Le modifiche apportate sono ponderate ed efficaci. Ridanno alle istanze incaricate di far rispettare il codice i mezzi per operare al meglio.

I giudici ritrovano la discrezionalità per valutare equamente ogni caso specifico. Potranno così sanzionare con la debita durezza gli incoscienti incorreggibili senza infierire contro chi commette un’infrazione per disattenzione. Ben venga quindi lo stralcio della pena minima di un anno di reclusione e la riduzione del periodo di ritiro della patente da 24 a 12 mesi. Finalmente, dinnanzi alla legge, gli automobilisti saranno di nuovo trattati come tutti gli altri cittadini. Inoltre i tribunali potranno infliggere sanzioni che riterranno commisurate alle circostanze nei confronti di organizzazioni di soccorso e autisti professionisti per le violazioni dei limiti di velocità.

Quest’ennesimo aggiornamento non sarà l’ultimo, ed è giusto che sia così. D’altronde soltanto riconoscendo gli errori fatti è possibile correggere il tiro. L’automobilista non è per sua natura un potenziale criminale. La stragrande maggioranza si comporta correttamente al volante. Certo, occorrono leggi stringenti, atte a punire severamente i pochi che mettono in pericolo i tanti. Basta però criminalizzare chi sa muoversi con responsabilità nel traffico tenendo a mente la sicurezza propria ed altrui.

Il pieno a caro prezzo (Touring 5/2022)

Di fronte all’orrore e follia della guerra in Ucraina, per alcuni l’esplosione dei prezzi della benzina potrebbe sembrare una cosa di poco conto. Eppure si sbaglia a deridere coloro che chiedono provvedimenti. Infatti, la nuova stangata mette in difficoltà molti svizzeri che già stentano a far quadrare il bilancio famigliare. Detto ciò è giusto che i politici diano voce alle preoccupazioni dei cittadini con mozioni parlamentari e sollecitino opportuni interventi contro il caro-benzina da parte del Consiglio federale.

Fanno capolino idee nuove e vecchie, fra cui la domanda se sia legittimo il doppio balzello sui carburanti, ovvero l’IVA prelevata sull’imposta sugli oli minerali e sul supplemento della stessa. Un nodo da sciogliere, questo, non solo oggi che assistiamo alla volata dei prezzi dei carburanti ma anche nell’ottica di un esame critico della struttura complessiva del nostro regime fiscale. C’è chi postula l’eliminazione delle accise sul carburante – oggi ben 76 centesimi al litro di benzina e 79 centesimi per litro di diesel – a prescindere dall’IVA sui prezzi alla pompa. È vero che un tale taglio aiuterebbe le economie domestiche, ma al tempo stesso prosciugherebbe il Fondo per le strade, comprometterebbe gli investimenti necessari nella rete viaria e, di riflesso, frenerebbe la mobilità di noi tutti. Altri vorrebbero imporci di guidare di meno e a velocità ridotta per risparmiare carburante – dimenticando chi ha bisogno dell’automobile e non può cambiar comportamento di punto in bianco.

Per quanto ci sia senz’altro urgenza di agire ed esistano delle possibilità per sgravare il borsellino dei consumatori dobbiamo essere ben consapevoli che non sarà possibile assorbire totalmente i massicci rincari dei prezzi con cui siamo confrontati. Come in altri ambiti, ci vorrà del tempo prima che i costi dei carburanti tornino a livelli normali. La democrazia svizzera ha ritmi e processi propri. E sebbene i cittadini s’aspettino, a ragione, delle decisioni rapide, dovremo armarci di pazienza e permettere alle istanze politiche di fare il loro lavoro.

È vero che l’azione del governo incide sui prezzi, ma non è l’unico operatore in ballo. In un sistema economico liberale, i prezzi sono il risultato del gioco delle forze di mercato. Benché vi siano spazi di manovra, questi sono limitati e consentono soltanto correttivi puntuali. Ciò che lo Stato può invece fare è indirizzare lo sviluppo e porlo sulla giusta via. Attraverso investimenti pubblici mirati può accelerare la decarbonizzazione nel settore della mobilità; ad esempio potenziando l’infrastruttura di ricarica elettrica contribuisce a superare la nostra dipendenza dai combustibili fossili.

Quando mobilità fa rima con complementarietà (Touring 4/2022)

La multimodalità esce vincente dal dibattito politico sulle ciclopiste. Purché applicata saggiamente, la nuova legge darà impulso alla nostra mobilità quotidiana e rafforzerà la libera scelta del mezzo di trasporto.

Due anni fa, un secolo dopo la spagnola, siamo stati sorpresi da un virus che si è espanso massicciamente nel mondo intero. Nonostante lo sgomento, in un tempo caratterizzato dall’accelerazione la tragedia del Covid è stata eclissata tanto repentinamente come si è manifestata. Pur continuando a destare notevoli preoccupazioni a livello sanitario, la crisi sta rientrando. La pandemia diventa (nuovamente) endemica e noi ritroviamo le nostre abitudini, prima fra tutte la mobilità. Ritroviamo il piacere di muoverci, lavorare e dedicarci agli interessi e svaghi di sempre.

A Berna, la ruota politica ha ripreso a girare a pieno ritmo e dal Palazzo federale ci giungono notizie positive. La legge sulle ciclovie, che concretizza il nuovo articolo costituzionale approvato nell’autunno del 2018 con il 73,6 percento dei voti e da tutti i Cantoni, ha terminato l’iter parlamentare. Non v’è minaccia di referendum all’orizzonte. Il TCS se ne rallegra. La normativa permetterà alla bicicletta di integrarsi più facilmente nella nostra mobilità, che ne esce ancor più diversificata e rafforzata nel suo insieme.

Fondato da un gruppo di cicloamatori nel 1896, il nostro club ha ovviamente partecipato, di peso, al dibattito. Quali promotori antesignani della libera scelta del mezzo di trasporto sappiamo che la mobilità va declinata al plurale ed integrata, anziché divisa.
Per noi la mobilità non è un concetto astratto da elaborare a tavolino o dividere come suggerisce il termine «split modale» e non si tratta certo, come qualcuno vorrebbe, di bandire l’automobile dalle nostre città e campagne. La mobilità è un bisogno naturale. Evolve e va avanti, a cento miglia di chi osteggia un dato mezzo di trasporto a favore di un altro. Ciò premesso ho letto, a metà fra il perplesso e divertito, che determinate cerchie interpretano la nuova legge, tesa alla realizzazione di una rete ciclabile capillare e coesa, come opportunità di «cambiare le nostre abitudini», di «rieducare i cittadini» o persino di «svegliare le nostre coscienze». Che ambizioni grandiose! Ma sono davvero questi i propositi della legge? Avrà magari una dimensione spirituale? Per quanto energizzante e gradevole possa essere una pedalata, la bici ha pretese così elevate?

Sul filo delle votazioni ho constatato che il TCS nutre intenzioni diverse, concrete. Quando, ad esempio, abbiamo insistito perché si separassero in maniera netta i fondi da stanziare alla rotaia e alla strada, non abbiamo semplicemente dato voce alla preoccupazione di garantire un’infrastruttura di qualità? E se nei nostri spostamenti quotidiani usiamo diversi mezzi di trasporto non dimostriamo forse semplicemente che la mobilità va a braccetto con la complementarietà? Ebbene sì, e siamo lieti che ora la «piccola regina» venga a farne, di diritto, parte integrante.

Iniziativa per i ghiacciai – tra il dire e il fare... (Touring 3/2022)

Salviamo i ghiacciai! Sbandierato da molti balconi in Svizzera, l’appello riassume l’obiettivo dell’iniziativa popolare «Per un clima sano». Per quanto lodevole, manca però un compasso preciso per raggiungerlo e non è dato sapere il prezzo che ci toccherà pagare. Attenzione a comprare a scatola chiusa!

A prima vista l’idea sembra buona. L’iniziativa è certamente dettata dalle migliori intenzioni ed è capace di mobilitare la popolazione: chi fra le elettrici e gli elettori non vorrebbe combattere il riscaldamento globale e la scomparsa dei nostri ghiacciai? E sebbene le preoccupazioni legate alla pandemia l’abbiano relegata un po’ in secondo piano, la tematica resta d’attualità.

Tuttavia, esaminando più da vicino il testo sul quale saremo chiamati a votare diventa subito chiaro che è una falsa buona idea. Innanzitutto parte dal presupposto, erroneo, che il nostro paese possa agire da solo quando proprio l’Accordo di Parigi, cui i promotori si rifanno, enfatizza la cooperazione internazionale. Suscita poi opposizione perché ci va pesante con i divieti anziché puntare sugli incentivi. Ed infine risulta semplicemente impraticabile perché né la ricerca e il progresso tecnologico, né l’economia seguono agende ideologiche.

Lo hanno capito sia il Consiglio federale, sia il Parlamento, che preferiscono un approccio più calibrato ed efficace presentando un controprogetto, diretto il primo ed indiretto il secondo, che purtroppo non ottengono la risonanza dovuta. Anzi: verdi e sinistra tornano alla carica proponendo un ulteriore articolo costituzionale senza che il legislativo abbia ancora discusso e tanto meno deliberato su quello all’ordine del giorno. Una mossa intempestiva e puramente tattica con un occhio alle prossime elezioni, a spese peraltro del clima?

Ma la realtà ci aspetta ineluttabile al varco: i gas serra sono nocivi per il clima ed urgono soluzioni mirate. Alla fine queste non verranno dalla sinistra, dalla destra o dal centro ma dovranno essere l’espressione di un compromesso intelligente al di là delle divisioni partitiche. E nascere dalla consapevolezza che la mobilità non è nemica dei ghiacciai. Si tratta di sostenere politicamente l’ecologizzazione già in atto nel campo dei trasporti, analogamente a quanto stabilito nel progetto di legge riveduto sul CO2. Occorre predisporre fondi per la costruzione di stazioni di ricarica elettrica al domicilio, sul posto di lavoro, nello spazio pubblico. E anche nel trasporto pubblico e in quello delle merci dobbiamo investire nello sviluppo di tecnologie rispettose dell’ambiente, favorendo carburanti a basse emissioni, in particolare, ma non solo, nel trasporto aereo.

In conclusione: la legge sul CO2 è stata rimessa a galla e speriamo che si possa mantenere il timone ben saldo sulla rotta costruttiva impostata: promuovere anziché proibire! Non dobbiamo vanificare gli sforzi compiuti finora appoggiando idee solo apparentemente buone come l’iniziativa per i ghiacciai.

Peter Goetschi, Presidente centrale del TCS
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